Database dei popoli tribali, indigeni o primitivi, antichi e moderni

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Terremare

Le terremare erano antichi villaggi dell'età del bronzo media e recente (ca 1650-1150 a. C. ) dell'Emilia e delle zone di bassa pianura della provincia di Cremona, Mantova (Alto Mantovano) e Verona. Le terramare sono l'espressione dell'attività commerciale dell'età del bronzo. Sono insediamenti lungo una via che attraversava le Alpi nella Val Camonica e giungeva alle sponde del Po, qui venivano costruite le terramare che fungevano da depositi e punti di partenza delle merci costituite da ambra dal Mar Baltico, e stagno dai Monti Metalliferi, con direzione lungo il Po fino alla foce e all'Adriatico, verso il Mar Mediterraneo orientale, il Mar Egeo, Creta, l'Asia Minore, la Siria, l'Egitto.

Etimologia

Il nome Terramare deriva da terra marna (dal dialetto emiliano = terra grassa) con riferimento alla terra, generalmente di colore scuro, tipica dei depositi archeologici pluristratificati, formatisi, attraverso i secoli, con il succedersi delle abitazioni che venivano ricostruite una sull'altra.

Questi depositi formavano delle collinette, alte fino a 5 metri, che costituivano ancora nel XIX secolo un tratto caratteristico del paesaggio padano. Nel corso dell'Ottocento queste collinette furono per la maggior parte distrutte dall'attività di cava volta al recupero del terriccio, che veniva venduto come concime. Il termine andò poi in disuso con la dismissione di queste cave e rimase ad indicare solamente i villaggi dell'età del bronzo.

Storia

Esordi e sviluppo delle Terramare

L'inizio della civiltà delle Terramare si può far risalire al XVII secolo a. C. con la colonizzazione della pianura padana a sud del Po da parte di popolazioni poladiane, proto-appenniniche e, in misura minoritaria, danubiane; importante comunque fu anche il contributo delle locali popolazioni del bronzo antico. La struttura delle terramare si concilia con la tecnica delle palafitte costruite sui laghi dell'Italia settentrionale (cultura di Polada). Il motivo di costruire in zone lacustri e fluviali è sicuramente legato alla ricchezza di risorse e al commercio fluviale.

Per le fondamenta delle palafitte si utilizzava il frassino, per il pavimento assi di abete, travi di pioppo coperte di canne per il tetto, rami intrecciati di nocciolo per le pareti; per rendere il pavimento impermeabile lo si ricopriva di argilla, mentre le pareti, per proteggersi dal freddo, venivano rivestite di un composto di argilla e sterco di vacca.

Se una terramara prendeva fuoco, veniva abbattuta e ricoperta di terra.

I villaggi erano di forma generalmente quadrangolare, delimitati da un fossato, nel quale scorreva acqua derivata da un vicino fiume o canale, e da un terrapieno.

Nel periodo iniziale le terramare avevano tutte dimensioni analoghe, comprese fra 1 o 2 ettari. Successivamente verso la fine del Bronzo Medio, tra il 1400 e il 1300 a. C. , alcuni villaggi aumentano le loro dimensioni fino ad arrivare a 15/20 ettari di estensione, altri invece rimangono di dimensioni ridotte, mentre altri ancora vengono abbandonati. Tutto farebbe pensare ad un riassetto politico del territorio, con la formazione di distretti entro i quali i villaggi assumono diversa consistenza demografica e diversa importanza.

Gli scavi archeologici del XIX secolo e quelli più recenti hanno dimostrato che internamente i villaggi avevano un'organizzazione molto regolare, con case allineate secondo uno schema ortogonale determinato dall'incrocio delle strade.

Le sepolture erano in genere ad incinerazione e si trovavano all'interno di grandi sepolcreti che potevano contenere migliaia di tombe. In alcune zone della pianura veneta, dove era fiorente la facies delle palafitte e degli abitati arginati, però vi sono anche necropoli birituali, con una prevalenza dell'inumazione nel Bronzo medio e una adozione dell'incinerazione che diviene pressoché totale durante il Bronzo recente.

La fine delle Terramare

Intorno al 1200 a. C. inizia per il mondo terramaricolo una grave crisi che nel giro di pochi anni porta all'abbandono di tutti gli insediamenti; le motivazioni di questa crisi non sono ancora del tutto chiare, sembra possibile che a fronte di un forte popolamento (si calcolano fra i 150. 000 e i 200. 000 individui) e ad un depauperamento delle risorse naturali, una crisi climatica in senso più arido abbia innestato una profonda crisi economica che a sua volta ha determinato una carestia e conseguentemente sconvolgimenti di ordine politico, che causarono il collasso dell'intera società. Attorno al 1150 a. C. le terramare sono completamente abbandonate e tutto il territorio della pianura, specialmente nel settore emiliano, è abbandonato per vari secoli, solo in epoca romana ritroverà quella densità demografica raggiunta durante il fiorire della cultura terramaricola.

In base alle evidenze archeologiche è stato teorizzato che a seguito di questi sconvolgimenti i gruppi terramaricoli si spostarono verso il centro e il sud della penisola, finendo per convivere con le popolazioni locali di cultura appenninica.

Primi scavi ed identificazione etnico-culturale

Scavi intensivi in questi siti furono effettuati negli anni 1860-1910. Prima della seconda metà del XIX secolo si riteneva che questi siti fossero stati utilizzati dai Galli e dai Romani per riti sepolcrali. Gli studi scientifici iniziarono nel 1860 con Bartolomeo Gastaldi, che stava conducendo ricerche nelle torbiere e in antichi siti lacustri, e che riuscì a comprendere che non si trattava di siti funerari, ma di abitazioni palafitticole simili a quelle già ritrovate nelle regioni più a Nord.

I suoi studi attirarono l'attenzione di Pellegrino Strobel e del suo giovane assistente Luigi Pigorini, allora di soli 18 anni. Nel 1862 essi pubblicarono un articolo sul sito terramaricolo di Castione Marchesi presso Parma, intuendo per primi che si trattava di un insediamento preistorico. Partendo dalla proposta di Gaetano Chierici, che le abitazioni palafitticole sui laghi a nord del Garda fossero appartenute ad un'ancestrale tribù proto-romana, Pigorini sviluppò la teoria di un insediamento di Indoeuropei provenienti dal nord. Egli fu una delle figure dominanti in questo settore sia nell'ultimo scorcio del XIX che all'inizio del XX secolo e fu anche un pioniere dell'archeologia stratigrafica.

Nonostante lo stacco storico di alcuni secoli, le popolazioni terramaricole sono strettamente imparentate con i successivi Protovillanoviani e i Villanoviani/Etruschi. Infatti la grande tecnica nel trattare le acque di scolo, la traccia di argini, canalizzazioni e fognature nelle città etrusche, potrebbe essere derivata dai terramaricoli che da sempre ebbero a che fare con tali opere. Il collegamento tra Terramaricoli e Villanoviani si riscontra anche nella pratica d'incinerazione dei defunti, diffusasi dal centro Europa lungo la via dell'ambra. Proprio i Villanoviani potevano rappresentare un ramo periferico di questa via che portava l'ambra fino in Sardegna dove era fiorente la Civiltà nuragica

Società

La società delle terramare aveva al suo apice il ceto guerriero. Le tombe ci mostrano anche la traccia di donne appartenenti ad un ceto più elevato. Tuttavia non vi erano differenziazioni profonde e tutta la comunità di villaggio era piuttosto uniforme, come dimostrano anche le case tutte eguali.

Economia

L'economia delle terramare si fondava sull'agricoltura, soprattutto cerealicola, e sull'allevamento di ovini, suini e bovini. Importante era anche il ruolo dell'artigianato, in particolare quello correlato alla fabbricazione di oggetti in bronzo: armi (spade e pugnali), utensili (asce, punteruoli, scalpelli, falcetti ecc), ornamenti e oggetti per la cura personale (spilloni, fibule, rasoi).

. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Terramare